Qualche anno fa era sorta una polemica intorno all'
Arsenale di Messina, luogo di lavorazione e soprattutto smantellamento di navi militari nato e italiane , situato nella zona falcata (centro cittá, giá interessato da altre opere invasive come approdi, ferrovia e ex imprese). Ripubblico questo post che era rimasto in forma di bozza:
"Volevo affermare un paio di cose riguardo la discussione...
Questa questione non può essere affrontata accostandola fedelmente a quelle delle opere quali il Ponte e il Muos, che hanno la loro storia e i loro perché, che molti hanno raccontato a fondo. ---(Il ponte arricchisce i potentati mafiosi, avvilisce le comunità attraversate e li asserva alla logica delle grandi opere, senza ottenere quei piccoli e maggiormente necessari interventi).
Il Muos come raccontato da
Antonio Mazzeo è tecnicamente uno strumento di guerra, mezzo di comunicazione per operazioni militari e potenzialmente dannoso per l'ambiente e la salute (la procura di Caltanissetta indagherà ed ha già messo i sigilli).
Riguardo l'Arsenale: Le leggi sono chiare e vanno rispettate. Per ora non c'è un elemento materiale che possa dimostrare un maggiore pericolo per l'ambiente di quello già esistente. In quanto da anni in quei bacini si lavorano navi con materiali pericolosi (pochi hanno protestato e fatto sit-in come ora).
Non è dimostrato che possa essere più pericoloso di quanto lo è già anche riguardo alle sue funzioni: perchè non è uno strumento diretto di guerra. Anzi trattasi di un officina già proprietà della difesa che ha il compito di smantellare navi di guerra.
Questi i due punti sui quali insistono i "no-alla discarica", come chiamano la protesta
L'unica cosa che si può fare è sorvegliare sul rispetto delle regole per l'ambiente e la salute di chi lavora. Spostare il luogo" non risolve il problema. Il pericolo non cambia se l'origine é a Messina, a Palermo, o dentro il vulcano dell'Etna. Un eventuale danno ambientale non può essere diverso se avviene in città o in un deserto, o in una baraccopoli. Il pericolo è sempre lo stesso e contro questo bisogna sorvegliare e vigilare. Se non vogliono la nato e basta è meglio che lo dicono chiaro e in tondo e non chiamino in ballo il Ponte o il Muos.
Riguardo l'Ilva e il dibattito sollevato tra lavoro e salute, è ovvio che bisogna essere fermi e rigidi. Il lavoro non può e non deve essere a discapito della salute. Ma se non si possono ridurre al minimo i rischi, bisogna assumersi le responsabilità e decidere se serve o meno quell'industria. Come per tutto ció che ci circonda e utilizzaimo quotidianamente: vogliamo la macchina, allora ci serve il petrolio. Vogliamo l'acciaio allora ci servono l' acciaierie. E una comunità deve prendersi le responsabilità di tutto il ciclo produttivo qualora decida di volerlo, non può delegare ad altri gli effetti dannosi di una propria azione. Il sud nel caso dell'Arsenale non paga un costo maggiore rispetto alle industrie del nord. Messina ha la possibilità di poter ospitare questo tipo d'industria e deve sfruttarla per il suo bene.
1. Le commesse e il conseguente investimento costituirebbero una grossa occasione per risollevare uno dei pochi settori che ad oggi dá lavoro ed è fonte di sostentamento per molte famiglie. Solo nell'Arsenale si contano più di duecento dipendenti che in questo caso si tratta di salvare dalla crisi economica e del lavoro. Non è accettabile la similitudine col Ponte sullo Stretto in quanto per l'Arsenale si tratta di un industria già presente e non da fare, che vanta commesse non solo militari ma anche civili. Un possibile investimento non andrebbe solo nello smantellamento di unità militari ma anche verso una maggiore utilizzazione dei bacini a scopo civile e quindi potrebbe portare nuove occasioni di lavoro.
2. Salvo altre notizie precise, si sta parlando di costituire un centro per la dismissione di unità navali militari della Nato. Un'azione che non mi sembra foriera di violenza, né inseribile in strategie rivolte direttamente ad azioni di guerra. Le similitudini col Muos sono pretestuose, si tratta solo dello stesso committente (NATO, in cui partecipa anche l'Italia ovviamente, spiegherò nel punto 3) e della stessa terra: Sicilia. L'unico punto che potrebbe preoccupare è il non rispetto delle leggi sull'Ambiente e la salute. Il Muos, come detto prima è potenzialmente dannoso, L'arsenale lo potrebbe essere se vengono allentate le norme sulla sicurezza e vengono portati rifiuti più inquinanti di quelli che la struttura può smaltire e maggiormente inquinanti di quelli che già l'Arsenale smaltiva.
3. L'Italia, come ben sappiamo, fa parte della Nato e partecipa attivamente all'organizzazione anche in tempi di pace fornendo strutture e basi situate nel nostro territorio. Tra le responsabilità che un organismo occidentale, sia esso Stato o Organizzazioni di più Stati, ha la necessitá di avere, deve senz'altro esserci quella di affrontare in prima persona tutti gli effetti e problemi che le azioni di questo Stato o Organizzazione suscitano. E tra questi vi è senz'altro lo smaltimento di risorse e strumenti non più utilizzabili e dannosi per la comunità. Smaltire è un compito che, chi produce tali rifiuti e scorie dovrebbe assumersi attraverso leggi e risorse proprie, per garantire di non danneggiare se stessi e gli altri. Come è tristemente noto, la maggior parte delle navi vengono smaltite in paesi del cosiddetto Terzo Mondo, dove non ci sono risorse e leggi che garantiscono la salute e la sicurezza di quelle popolazioni.
Se l'Italia con la Nato decide di smaltire i propri rottami in casa propria, è una decisione ineccepibile, ovviamente se presa con tutte le cautele e leggi che abbiamo. Se non vogliamo "accollarci i rifiuti" non è certo appellandoci alle "comunità locali" che potremmo risolvere il problema. Se non si vuole pagare il costo che il far parte della Nato comporta, si manifesti a Roma contro la partecipazione dell'Italia a questa organizzazione e per la revoca degli accordi internazionali in questione."
La Zona Falcata continua ad essere usata prevalentemente per scopi industriali e militari. Nel 2016 sorge una villetta (
Parco Don Blasco) in un'area precedentemente interessata da un accampamento Rom.