martedì 3 agosto 2010

La mia ribellione giornaliera si è fermata a mezza pillola di escitalopram e qualche ansiolitico benzodiazepinico.
Dormo sotto un poster di Che Guevara. Non la solita immagine da t-shirts e tatuaggi. Dice: "un revolutionnaire ne demissionne jamais" ("un rivoluzionario non si dimette mai"). Lungi da me considerarmi tale, mi sono allontanato da me stesso seguendo immaginarie Cuba. Ora sono a casa. Anzi a letto.

sabato 13 marzo 2010

Welfare: L'Italia fa acqua

L'agonia del Welfare in Italia e riflessioni sulla privatizzazione e gestione dell'acqua con uno sguardo alla Sicilia (articolo scritto nel Dicembre 2009) Uno dei principali motivi di esistenza del Welfare, il sistema basato sul riconoscimento di diritti e servizi sociali dei cittadini, è stato ed è quello di cercare di eliminare le disuguaglianze sociali ed economiche fra di essi, fornendo perciò servizi essenziali, riequilibrando e ridistribuendo il benessere prodotto dal Paese. Dagli anni ’80 in Italia e in tutto il mondo inizia quella che è una rivoluzione dell’intero sistema: il ceto medio si sfalda, si differenziano i bisogni, mentre il potere d’acquisto diminuisce; le industrie devono aprirsi al mercato globale, degli stipendi a basso reddito e senza assistenza, dove proliferano le multinazionali del low-cost. La parola d’ordine è:” più efficienza e meno costo” . Di contro la realtà evidenzia progressivamente una minore efficienza e un aumento dei costi in alcuni settori della spesa pubblica. L’Italia si accorge che c’è qualcosa che non funziona nei primi anni ‘90, la realtà politica rivela corruzione e clientelismo. Ci si indigna e poi via, avanti come prima. Ci si affida sempre di più al Mercato, ma i controlli reali restano carenti. Il mito del neo-liberismo, poi la crisi del 2008 e il resto è storia recente. Un Welfare sano e controllato serve, è necessario e giusto. D’altro canto le liberalizzazioni in settori economici dove una vera concorrenza è possibile sono uno strumento che se usato correttamente permette di raggiungere lo scopo del servizio che deve essere legato al cittadino e non al profitto. Il più grande nemico del Welfare, almeno in Italia, è uno solo: il vasto giro di denaro e di imposte che muove, a partire dalla legge finanziaria che ogni anno controlla, sposta e ne decide la ridistribuzione muovendo interessi contrapposti. Da un lato Il liberismo selvaggio, lo Stato leggero, che lascia porzioni di decisione al privato (scuole, acqua, sanità) senza deciderne in modo rigido le regole. Dall’altro la concezione dello Stato padrone, grande contenitore che ha tutto e sa tutto, che deve provvedere a ogni bisogno del cittadino anche superfluo, che gli concede i risultati più che i mezzi per raggiungerli, il lavoro, piuttosto che una preparazione fondamentale, un 18 piuttosto che spazio e strumenti agevoli per meritarlo. Questi gli schieramenti che si sono affrontati, riuscendo a trovare pochi compromessi: lo Stato finisce per disinteressarsi del reale funzionamento dei servizi, gli enti preposti al loro controllo risultano sempre più inefficaci. Due esempi: spazzatura e acqua. Il primo è un mercato talmente proficuo da far gola perfino alle associazioni malavitose, mafia e camorra, che in certe zone hanno il monopolio dello smaltimento dei rifiuti pesanti e pericolosi , con grande danno dell’ambiente. In Sicilia su nove provincie a cui è dato il compito di amministrare il servizio, le ATO (ambiti territoriali ottimali) dei rifiuti sono ben ventisette. Dalla loro istituzione nel 2002 da parte della Regione, i consorzi che gestiscono i servizi nei vari comuni si sono rivelati veri e propri mangiasoldi: la spesa pubblica è raddoppiata mentre la spazzatura per strada è cresciuta e la percentuale della raccolta differenziata, che dovrebbe essere al 35%, è rimasta al 6%, con grande salute delle pance degli amministratori e delle discariche siciliane. Più attenzione merita a mio avviso la questione dell’acqua, balzata alle cronache con l’ultimo decreto Ronchi del 19 Novembre 2009 , riguardo all’attuazione di obblighi comunitari, nel cui “pentolone” compare la privatizzazione del servizio idrico. Nell’art. 15 è previsto il bando di gara pubblico per l’assegnazione del servizio idrico e la concessione di almeno il 40% delle aziende operanti a partner privati. L’acqua è sicuramente il bene più prezioso di tutti, vero “oro blu”, di cui spesso l’abbondanza ci fa dimenticare la sua essenzialità per la vita dell’uomo e che eppure è stata ed è tutt’ora tra le cause di conflitti per la sua mancanza in paesi poveri e per il suo controllo e la sua gestione. In Italia, l’acqua è un bene pubblico, la cui proprietà appartiene allo Stato, che deve gestirla per l’interesse di tutti i cittadini. Monopolio naturale, essa è orami al centro di un business e usata come risorsa politica. Nel 1994 la legge Galli, istituì gli Ambiti Territoriali Ottimali con il compito di organizzare e amministrare la gestione dell’acqua in tutte le sue fasi, affidandola se necessario a varie aziende pubbliche o meno. La strada tracciata con l’ultima legge aprirà definitivamente alle aziende private il controllo della gestione “pubblica” dell’acqua, che nonostante un inevitabile aumento delle tariffe permetterà sicuramente a questi privati di investire maggiori somme nel miglioramento del servizio. Almeno a seconda dei legislatori. Ma è davvero così? In Europa non la pensano poi tanto come noi. A Parigi, dal 1 gennaio 2010 l’acquedotto è ritornato pubblico dopo 25 anni di concessione a due aziende private. In Inghilterra ci si è già accorti che la privatizzazione della Tatcher non ha portato lo sperato miglioramento del servizio nonostante il raddoppio delle tariffe. In Italia dove gli investimenti sono più necessari (in quanto si perde circa il 30% del volume idrico) dalla metà degli anni ‘90, quando sono iniziate le privatizzazioni nel settore, gli investimenti sono scesi del 70% e le tariffe aumentate del 60%. Ad Arezzo (privatizzata nel ’99) una famiglia di tre persone, paga all’incirca 400 euro all’anno. Invece in Puglia dove l’acquedotto è pubblico al 95% la spesa è aumentata di poche decine d’euro l’anno a fronte di ingenti e mirati investimenti per diminuire le perdite. Secondo Federutility (associazione del settore), gli acquedotti al sud sono veri e propri colabrodo, eppure è una delle aree che ha attuato più celermente il processo di privatizzazione. In Sicilia, la regione più assetata, dove l’acqua è davvero rara e preziosa l’ente che provvede agli investimenti strutturali è Siciliacque, fondata nel 2003, il cui 75% del patrimonio appartiene alla più grande multinazionale dell’acqua, la francese Veolia, che serve più di 110 milioni di utenti in tutto il mondo, con un giro d’affari di 600 miliardi di euro. La gestione in Sicilia è divisa tra ambiti territoriali ottimali organizzati per regione. Ogni ATO decide la propria organizzazione sotto forma o di consorzio (dove presiede un consiglio d’amministrazione), o di convenzione tra comuni, dove si vota per testa. L’ato3 della provincia di Messina, è in Sicilia quella con la più alta spesa di amministrazione pur non essendo mai entrata in funzione. Sembra proprio inevitabile, visto che è organizzata su un territorio provinciale idrogeologicamente differente e gestito da una convenzione di 108 comuni, con interessi divergenti. D’altro canto dove è entrato in funzione il consorzio ATO , in Sicilia, le tariffe sono quasi raddoppiate. Ad Agrigento per esempio una famiglia spende 445 euro all’anno, la tariffa più cara d’Italia, dove peraltro la qualità del servizio risulta più che scadente. In generale dal 2004 al 2006 le perdite degli acquedotti sono aumentate in tutta Italia dal 29 al 30 % in seguito ad un aumento degli investimenti dal 25 al 28%. Cercando di tirare le somme possiamo affermare sicuramente che la gestione pubblica ( che persegue per forza il pareggio del bilancio), riesce a garantire degli investimenti che seppur deficitari sono pur sempre mirati all’esigenza del cittadino. Senza dubbio una gestione privata fornisce un minore sperpero e minor spese di amministrazione. Pur restando il fatto che il servizio idrico resta un monopolio naturale e perciò non legato alle regole del libero mercato e della concorrenza. Ma il guadagno rischia di andar tutto verso il profitto e meno verso gli investimenti. E poi quali interessi hanno veramente i privati a migliorare le perdite? Visto inoltre che l’acqua è un bene ahi noi limitato, come riusciremo dunque a limitarne il consumo di fronte ad un interesse che fa dell’acqua un profitto? Ogni cittadino consuma all’incirca 200 litri d’acqua al giorno. Beviamo almeno 2,4 litri di cui la meta attraverso cibi. Il 65 % degli italiani consuma 10 milioni di litri all’anno tra le 260 marche di acqua minerale, il più alto numero in Europa. Il consumo dell’acqua non guarda in faccia di certo allo spreco delle risorse, così che non ci si fa scrupoli ad innaffiare l’orto o lavare l’automobile con acqua depurata o potabile anziché acqua di raccolta. Forse, l’unico aspetto positivo a cui ci può portare la privatizzazione è paradossalmente l’aumento dei prezzi dell’acqua stessa a danno delle tasche degli italiani, che ci metterà finalmente di fronte al problema dello spreco delle nostre risorse idriche, così da spingerci poi a riaffidarci ad una gestione pubblica, che sia consapevole e controllata, capace di fare dell’acqua un vero valore.

giovedì 4 febbraio 2010

Amici... e gùardati

Sono fiero di appartenere a uno Stato in cui un premier può
essere
investigato come un semplice cittadino.

Un premier non può essere al di
sopra della legge, ma nemmeno al di sotto.
Se devo scegliere fra me,la
consapevolezza di
essere innocente, e il fatto che restando al mio posto
possa mettere in grave imbarazzo il Paese che amo e che ho l’onore di
rappresentare,non ho dubbi: mi faccio da parte perché anche il primo ministro
dev’essere giudicato come glialtri.

Ehud Olmert, Primo Ministro israeliano dimissionario il 21 Settembre 2008, indagato per corruzione e per il comportamento tenuto durante il terzo intervento in Libano nel 2006.


Tutta la Knesset vi accoglie con calore e come vero amico
del popolo di
Israele.
Benjamin Netanyahu, attuale Primo Ministro israeliano, rivolto al Primo Ministro italiano Silvio Berlusconi, in visita al parlamento israeliano, il 3 Febbraio 2010